Per andare avanti credo si debba tornare indietro
- Ale Mazzarello
- 21 nov 2020
- Tempo di lettura: 7 min
Da circa due mesi la mia vita è stata, ancora una volta, ribaltata. Dopo anni di libera professione e idee imprenditoriali, alcune andate molto bene, altre fallimentari nei risultati (paradossalmente credo che quelle fallimentari fossero le più lungimiranti e di lunga veduta, ma non entro ora nel merito della incongruente realtà dei fatti), mi sono ritrovato titolare di una cattedra di insegnamento, docente del Ministero dell'istruzione, della Università e della Ricerca.
Avevo i requisiti per farlo, ma non ho mai pensato di farlo.
Anni di lavori inutili, dove le spese erano, alla fine, più dei ricavi, mi hanno portato a dire basta.
Ricordandomi di avere i requisiti per farlo mi sono iscritto alle graduatorie e così ecco la chiamata. A tempo ovviamente, un anno scolastico, poi il futuro sarà, ancora una volta, tutto da scrivere.
Sono figlio di insegnante e quindi in questi decenni ho sempre sentito parlare della scuola in casa, dei suo costanti e continui cambiamenti, poche volte voluti, spesso accettati per "quieto vivere". Questa è sempre stata la mia percezione da esterno.
Varcata in punta di piedi quella soglia, questa volta non da papà o da ospite, ma da docente, ho cercato di capire, osservando in silenzio le prime settimane.
Bene, il silenzio è presto finito e ho scelto di non essere complice di un sistema che dico, senza peli sulla lingua, come sono solito a fare, alla deriva.
La scuola, ufficialmente luogo privilegiato per la formazione degli individui come uomini e come cittadini, si prefigge di fornire ai propri utenti, non solo strumenti conoscitivi, ma anche valori umani e capacità relazionali.
Attraverso l’acquisizione delle competenze, che tengono legati i vari aspetti della persona (dai saperi alle capacità, agli atteggiamenti), funzionali al bene personale e al bene della società di appartenenza, la scuola mira a rendere ciascun soggetto capace di muoversi nella vita in modo autonomo, razionale, etico e responsabile.
In tale processo formativo, l’insegnante riveste un ruolo privilegiato, poiché è chiamato a mediare tra l’individuo singolo e la società.
Ho preso a prestito questa descrizione da un articolo di Carmela Russo sul sito edscuola.edu perchè ci sono alcuni passaggi su cui concordo pienamente e che non ho però ritrovato sui banchi degli alunni.
la questione disciplinare nelle scuole stia diventando contemporaneamente o un luogo comune, da dare per scontato e ineluttabile o una condizione di ansia parossistica dei docenti e dei dirigenti, incapaci e impossibilitati a trovare la soluzione a gesti di scorrettezza relazionale, a comportamenti teppistici o ad abitudini consolidate di lassismo e maleducazione.
Famiglie e scuola, sovente, invece di collaborare, giocano a rinfacciarsi le responsabilità, trovando la soluzione di comodo nelle colpe della società, questo "diffuso reo" che si deve assumere tutti i carichi per i cattivi esempi, per la scadimento dei "costumi", per la perdita dei "valori" che dovrebbero costituire lo sfondo sostanziale di ogni azione istruttiva, formatrice e educativa sia della scuola che della famiglia.
Provate a dettare regole e subito avvertirete nei giovani un immediato senso se non di rifiuto o di rivolta, quantomeno di fastidio. I giovani di oggi diventano prestissimo liberi ma restano sostanzialmente meno capaci di gestire gli anticipati spazi di autonomia, gli aumentati livelli di decisione personale. L'intervento degli adulti di riferimento cozza con un contesto decisamente contrapposto delle logiche "giovanili" che stabiliscono la deregulation come condizione non pattuita della relazione con genitori e docenti.
Ecco perché alcuni genitori - forse più fortunati o più attenti o più motivati - parlando dei propri figli, orgogliosamente li definiscono in positivo come "diversi dagli altri giovani" perché si dà per condiviso un giudizio negativo sulla gioventù di questi tempi.
Insegno in una scuola primaria, per la precisione una terza elementare. Una classe multietnica in un quartiere popolare della città in cui abito.
Questo non deve però essere nè una scusante, nè una attenuante. Una deresponsabilizzazione.
L'integrazione deve passare soprattutto dal rispetto delle regole. Usi e costumi individuali, varcata quella soglia alle otto della mattina, devono essere abbandonati per avere un unico uso e costume, quello del rispetto, della educazione, della convivenza e del sapere che la scuola è e deve essere una valore assoluto, la base della società per quello che dovrà poi essere il futuro di questi giovani bambini.
Ho lasciato la scuola da studente (escludo da questo conteggio l'Università perchè ci si arriva già uomini) nel lontano 1996.
Di quella scuola non ho ritrovato e non sto ritrovando più niente.
Partiamo dalle cose banali.
Il rispetto per il ruolo dell'insegnante.
Abbiamo abituato i nostri figli (io no sia chiaro) a vedere l'insegnante come un "amico".
No, non è e non deve essere un amico.
Questo porta, già dal saluto rispettoso, che oggi manca totalmente, ad un non riconoscimento del ruolo e del valore.
Dico spesso che mi sono laureato grazie alla maestra delle elementari (Sig.ra Maestra Maria Micheletti), che vedevamo come una icona e la sua "severità" non era per noi un peso, un nemico da sconfiggere, un ostacolo da superare, bensì un valore.
Lo dimostra il fatto che la maggior parte dei bambini che la hanno avuta come insegnante la ricordano con le mie stesse parole, che molti di noi sono rimasti con Lei in contatto anche dopo la fine della scuola primaria (una volta si chiamava scuola elementare ed elementare non era a mio avviso un termine svilente, bensì arricchente, perchè in se racchiude gli elementi fondamentali della formazione, le basi, le fondamenta, senza le quali tutto il castello formativo educativo cade).
Si entrava a scuola e si sapeva che, una volta seduti ognuno al suo banco, si doveva salutare l'insegnante con un "buongiorno Signora Maestra" alla quale Lei, con un sorriso sincero, rispondeva buongiorno bambini.
Se in classe entrava un'altra insegnante o la Preside, ci si alzava e si salutava con un buongiorno anche l'ospite. E si restava in piedi fino a quando non veniva accordato il permesso a sedersi. Una volta seduti si stava in silenzio.
Oggi non solo i bambini non salutano l'insegnante, ma se entra qualcuno in classe non lo degnano di uno sguardo, anzi il fatto che l'insegnante debba rivolgere l'attenzione all'ospite porta la classe a fare "mercato", espressione che amo molto e che rappresenta lo stato dei fatti.
Da qui, a mio avviso, decade tutto ancora prima di cominciare.
E' la dimostrazione che la scuola ha già perso.
E non ditemi che sono etichette, che, che , che.
Le etichette servono, eccome.
Le regole servono, eccome.
E svilendo e annullando le più semplici, non potremo che fare altro che iniziare a non rispettare quelle più complesse.
In quante famiglie la scuola è ancora vista come un valore assoluto?
Difatti la situazione poi degenera mano a mano che si arriva alla scuola secondaria o alle superiori.
Sono tristemente fatti noti alla cronaca.
In alcune scuole italiane i Docenti hanno pubblicamente dichiarato di essere stati derisi o minacciati dagli alunni, anche della scuola dell'obbligo, hanno subito danni alle proprie cose per ritorsione, hanno patito umiliazioni pubbliche, senza poter opporre alcune difesa al proprio prestigio e alla propria autorità.
Questo si riflette inesorabilmente nella società civile, al di fuori quindi del contesto scolastico, dove il rispetto delle regole è via, via sempre minore, dove il rispetto per le forze dell'ordine scema di continuo, dove il rispetto per gli anziani non esiste quasi più e via di seguito.
Tutto parte, ebbene si, da quel "buongiorno maestro" che non si pretende più.
Io, mi spiace, ma lo pretendo, eccome.
E non ho alcuna intenzione di essere complice di uno stato dei fatti che non mi rappresenta.
Ho imparato dallo sport, in cui vivo da sempre, che pretendere, con severità, il rispetto delle regole, non allontana da te i ragazzi, ma ti unisce a loro.
Quando capiscono che quel mettere regole è un bene per tutti, perchè tutti si è realmente uguali davanti a quelle regole.
Infrangerle è una mancanza di rispetto verso gli altri e quindi se si capisce il valore del rispetto non si è più portati a farlo.
L'io e il noi devono coesistere e alimentarsi vicendevolmente, ma rispettando i ruoli e quando si è più piccoli di età avere rispetto per chi è più grande.
Oggi nella scuola non si riconosce nemmeno l'importanza del personale Ata, quello che una volta veniva chiamato bidello, o del personale della mensa.
Chiedere per favore o grazie non sono etichette, ma elementi che dovrebbero essere insiti nel dna, valori trasmetti dalle famiglie.
Il fatto stesso che io PRETENDA che venga fatto mi lascia a dir poco perplesso.
Non avrei mai creduto di dover spiegare perchè si debba salutare o ringraziare chi ci serve a tavola al refettorio.

Tutto parte da qui, dall'aver calpestato le cose semplici.
Il bullismo, oggi in aumento, esiste perchè si sono cancellate le basi della convivenza civile, nessuno mi convincerà MAI del contrario.
Oggi ho il sentore, la sensazione o qualcosa di più, che si siano tolte basilari regole di educazione perchè così si evita un conflitto con le famiglie, dove, in una percentuale sempre maggiore non si educa più.
Come il far capire che non basta venire a scuola per avere la sufficienza.
La presenza non è un elemento che deve avere a che fare con il merito, con le capacità, ma soprattutto con la voglia.
Oggi la scuola primaria livella tutto.
Lo fa, drammaticamente, verso il basso.
Oggi non si può per legge fermare più nessuno.
Quando appresi da mia madre questa cosa restai basito.
Fermare qualcuno, i motivi posso essere la sua maturazione psicologica non corrispondente a quella anagrafica o la assoluta mancanza di voglia di impegnarsi, è un bene per il bambino.
Nel primo caso potrà maturare in un contesto più idoneo e consono alla sua reale età evolutiva, nel secondo caso metterà soprattutto la famiglia dinnanzi ad un dovere, chiamato impegno. La scuola per voi non è un valore assoluto? Bene, vostro figlio a trentanni sarà ancora alla primaria.
Invece, sono certo sia per il quieto vivere, abbiamo fatto credere a tutti che la sola presenza sia un requisito sufficiente per andare avanti.
Oggi dare dei compiti a casa è visto come un "reato". Se assegni da studiare cinque pagine passi come l'orco cattivo e subito ti viene detto "se poi le famiglie si lamentano, te la vedi tu".
Me la vedo io, eccome e con piacere.
Studiare a casa è un DOVERE, non un un FAVORE che fai al Docente.
Studi per te stesso, per apprendere conoscenze, per iniziare, mattoncino dopo mattoncino, a costruirti un futuro.
Un futuro che inizia, si è proprio così, il primo giorno della scuola primaria. Che ti piaccia o meno.
Certo l'insegnante dovrebbe vedere la sua come una missione, non come un lavoro e quindi essere capace a farti appassionare a ciò che ha la pretesa di insegnarti.
Per insegnare non basta stare seduto alla cattedra e questo è, secondo il mio parere, un altro grave problema della scuola italiana, che non forma con costanza i suoi docenti, ma, accertati i requisiti burocratici per avere quel posto da Docente, li abbandona al loro, spesso infausto, destino.
Questo aspetto meriterà una riflessione a parte sulla quale tornerò prossimamente.
Tutto quanto scritto fino ad ora porta inevitabilmente e inesorabilmente ad un impoverimento culturale dei nostri bambini e ragazzi.
Oggi la nazione Italia è quella a livello europeo con il minor numero di laureati e quella con il minor numero di libri letti pro capite in un anno.
Pensate sia un caso?
Il caso non esiste.
Tutto parte, paradossalmente, ancora una volta, da quel "buongiorno Signor Maestro" destituito dal suo stesso essere.
Perchè la scuola riprenda il suo ruolo centrale, perchè la società torni ad essere civile, per andare davvero avanti occorre fare due, o forse più, passi indietro.
Ale Mazzarello
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